- Il 22 marzo c’è stata la Giornata mondiale dell’acqua. Mi
ero ripromessa di scriverne. Avevo chiesto all’amico Emilio Molinari che
dell’acqua si è sempre occupato e ha contribuito fattivamente alla riuscita
del referendum del 2011, di mandarmi delle notizie e lui l’aveva fatto. Ma poi
è sopravvenuta la valanga del coronavirus e il problema dell’acqua è
passato in secondo piano. Anche se in realtà l’accesso all’acqua, in tempi di
pandemia, è importantissimo, basta pensare che la prima raccomandazione, cioè
quella di lavarsi le mani, è resa nulla in tanti Paesi dove l’acqua corrente
non esiste. In troppi paesi africani ancora oggi le donne si fanno anche dieci
chilometri a piedi per andare a riempire un orcio al «marécage» che deve
servire sia per cucinare che per bere. Chiaro che non ce n’è per lavarsi le
mani. Ora che il virus sembra essersi un poco quietato, torno a parlarne perché
penso che sia uno dei più importanti temi del futuro. L’uso dissennato che
abbiamo fatto del territorio, le foreste mandate a fuoco, l’avvelenamento dei
fiumi, il riscaldamento del clima stanno rendendo sempre più rara e difficile
la disponibilità dell’acqua per tutti. Eppure è un diritto sancito dalla
Dichiarazione universale dei Diritti umani. Perfino il Papa ha affermato
pubblicamente che «dall’acqua dipende il futuro dell’umanità». E che «l’accesso
all’acqua è un problema di giustizia». Per questo ha chiesto che le risorse
idriche del pianeta siano protette e rese accessibili a tutti. Alla fine, con
voce commossa ha citato le dolci parole di san Francesco: «Che tu sia lodato,
mio Signore per sorella acqua la quale è tanto utile e umile, preziosa e
pura...». «Una persona su tre nel mondo non ha accesso ad ac- qua sicura»,
scrive Molinari e «una su nove è priva di servizi igienici». Per questo in
molti Paesi la mortalità dei bambini è tanto alta. Ricordo che nei miei viaggi
all’interno dell’Africa nera mi stupivo che le madri allattassero i figli fino
a due, anche tre anni. Vedevo quei poveri seni piagati a cui attingevano
bambini già formati che da noi si nutrirebbero già di pappine e carne tritata.
Poi, interrogando queste donne, ho capito il segreto di quegli allattamenti
prolungati. Le madri cercavano di tenere al petto i propri figli perché nel momento che dal latte materno passava all’acqua, un bambino su tre moriva per
infezioni sensibili agli antibiotici di cui però non disponevano. «L’acqua —
scrive Molinari — è, nell’indifferenza globale, in testa alla macabra graduatoria dei decessi». E poi ci ricorda che lui e la sua associazione hanno
denunciato la «criminale selezione che avrebbe comportato la privatizzazione
dell’acqua. La gente lo capì e votò per la nazionalizzazione delle utenze
idriche». Ma purtroppo, nonostante il voto favorevole, come spesso succede in
Italia, si è lasciato la gestione di una buona porzione delle riserve idriche
ai privati, i quali non hanno affatto rimediato alla perdita del 60 per cento
del liquido prezioso che passa in tubi fatiscenti mai sostituiti. «La cultura
della privatizzazione ha devastato la democrazia e tutto ciò che è pubblico,
creando quello che De Rita (Censis) ha definito: la dittatura dell’io». La
forza delle multinazionale nali ha vinto ancora una volta? In teoria ha vinto
l’opinione pubblica, ma subito dopo si è fatto un decreto, la legge 112 del
2008 che ammetteva la possibilità di lasciare in alcuni casi la gestione ai
privati. «Così, fatta la legge, si è trovato l’inganno per aggirarla». Oggi in
Italia ci sono tre tipi di servizi idrici: quelli pubblici , quelli misti e
quelli privati. Una grande confusione che non permette un intervento comune
sulla gestione delle acque nazionali. «Il cementato cresce al ritmo del 15%
all’anno e i rifiuti tossici vengono bruciati ancora in molte parti del Paese
con conseguenze sulla salute dei cittadini. Siamo in braghe di tela per i tagli
alla spesa pubblica, per le privatizzazioni sanitarie, per i brevetti sui
farmaci e i costi imposti dalle multinazionali: né più né meno come per
l’acqua potabile, per la siccità, il clima e il dissesto ambientale. Siamo
tutti interconnessi e l’idea che chiudendo i rubinetti ci teniamo l’acqua per
noi, è una utopia oltre che una forma di stupido egoismo». A questo punto,
vista la pessima situazione, la domanda è: ma allora, come possiamo rimediare?
La risposta: «Bisogna trovare un accordo fra associazioni, sindacati,
movimenti culturali e sociali di uomini donne, come in un nuovo Forum Mondiale,
non per fare la sommatoria dei contenuti congeniali a ciascuno, ma per decidere
pochi obiettivi fondamentali: il diritto alla vita di tutti gli esseri viventi,
una distribuzione più giusta dei beni essenziali, fra cui prima di tutto
l’acqua, rispetto e cura dell’ambiente la cui salute ci riguarda tutti, come
questo virus che non conosce frontiere né classi ha dimostrato».
Dacia Maraini
dal Corriere della Sera