lunedì 17 agosto 2020

“Le nuove linee guida della Ru486 gettano tutto il peso sulle spalle della donna”. Monsignor Vincenzo Paglia fa il punto sulle nuove direttive riguardo l’aborto

Ha seguito il dibattito sulle nuove linee guida per la somministrazione della pillola abortiva, letto gli interventi di fautori e critici, ha riflettuto e si è confrontato. E infine ha messo mano, ieri, a una nota come presidente della Pontificia Accademia per la Vita nella quale denuncia il «più forte confinamento nella sfera privata di un gesto di grande rilevanza emotiva, sociale e morale» come l’interruzione di gravidanza e chiede di «non rinunciare alla ricerca di modalità e strumenti più adeguati per un progetto condiviso» sulla donna e la vita. Anche monsignor Vincenzo Paglia scende in campo su un nodo delicato quanto cruciale come le modalità con cui si abortisce – oggi, e ancor più domani – nel nostro Paese.

Cos’ha pensato dell’annuncio di nuove linee guida sulla Ru486 e del dibattito di questi giorni?
Mi sono detto che una volta ancora tutto il peso di una decisone comunque difficile e fisicamente dolorosa viene gettato sulle spalle delle donne, meglio, di quella singola donna. Viene lasciata sola da una procedura "farmacologica" che incide fortemente nel suo corpo e nel suo animo. Sappiamo che si tratta di un dramma terribile per le donne, per un evento spesso più subìto che scelto. La misericordia evangelica ci dice che la prossimità alle donne non può essere allentata.

Ma i fautori delle nuove regole sostengono che è proprio alla loro salute che si è pensato introducendole...
Mi sembra che con queste linee guida si renda ancora più "privata" e "solitaria" la scelta di abortire. Questo è il vero tema. Più volte ho parlato del dramma della nostra epoca come «il crollo del Noi». Qui il «Noi» continua a crollare. E la società che dovrebbe sostenere i suoi figli li lascia soli. Per questo si deve sottolineare che nelle linee guida si disattende la 194 proprio nella parte in cui valorizzava la prevenzione e il sostegno alle donne, per ridurre – e magari azzerare – il ricorso all’interruzione di gravidanza.

L’aborto con la procedura dei due farmaci – abortivo ed espulsivo – alla fine sortisce il medesimo effetto di quello chirurgico. Cosa differenzia allora il giudizio su questi due percorsi?
Gli strumenti farmacologici lo rendono un percorso "più pulito"? Non credo, al massimo lo sottraggono alle relazioni. Lo rendono privo di rischi? Mi sembra che spostare in avanti i termini, dalla settima alla nona settimana, possa comportare un aumento di rischi e di stress per la donna, come implicitamente si riconosce quando si suggerisce come criterio di esclusione ansia e bassa soglia del dolore. Il giudizio sull’aborto, come sia, è sempre negativo. E senza equivoci. 

Cosa segnala la scelta dello spostamento progressivo fuori dagli ospedali della pratica abortiva?
Consentire che l’aborto possa avvenire tra le mura domestiche significa allontanarlo ulteriormente – con tutti i problemi dei quali questa decisione si carica – dalla trama delle relazioni sociali e dalla sfera della responsabilità comune, che la legge 194 chiama invece direttamente in causa. Certo, gli ospedali non sono necessariamente il luogo migliore per perseguire l’obiettivo di accompagnamento e sostegno. Ma proprio per questo occorre non rinunciare alla ricerca di modalità e strumenti più adeguati per un progetto condiviso: accompagnamento e sostegno alla vita nascente e alle famiglie. 

È sempre più diffusa l’idea che l’aborto sia un "diritto", lo affermano con convinzione non pochi intellettuali e politici. Cosa ne pensa?
Chi ne fa un discutibile "diritto" vuole nascondere che l’aborto è sempre un dramma con quattro vittime: la donna, l’uomo che l’ha messa incinta, il figlio che non nasce, la società intera che si dimostra incapace di prevenire. Il declino di una efficace azione dei consultori familiari evidenzia questo disimpegno, che tende in realtà a far gravare in modo sempre più pesante sulle spalle della sola donna l’onere di un gesto che lascia un segno profondo nella sua biografia. 

La legge 194 è rimasta largamente inapplicata nella sua prima parte, quella della prevenzione. Cosa andrebbe fatto per ridurre il numero di aborti nel nostro Paese, in modo ancor più sensibile di quanto accade ora per via della diminuzione di donne in età fertile e dell’impressionante aumento dell’uso di pillole del giorno dopo e dei cinque giorni dopo?
Vedo che stiamo perdendo una consapevolezza: i figli sono il nostro futuro, come famiglie e come Paese. C’è un legame tra aborti (oltre 76mila nel 2018) e l’attuale inverno demografico? Sono convinto di sì. Serve – e con urgenza – uno scatto di consapevolezza sociale e culturale. La Chiesa sostiene e protegge la vita, sempre: non è una scelta ideologica, è una scelta a favore del futuro. Oggi più che mai, in particolare in Occidente, si pone la domanda su come favorire l’accoglienza e l’apertura alla vita e alla sua novità. Per questo occorre divenire più disponibili a lasciarsi sorprendere e scomodare rispetto alle nostre posizioni acquisite.

La 194 resta una legge alla quale si debbono oltre 6 milioni di aborti dal 1978 a oggi, ma è la realtà con cui dobbiamo tutti fare i conti. A quale impegno sono chiamati i cattolici oggi su questo fronte?
Compito della Chiesa è certo predicare la dottrina ma anche praticare l’amore, la vicinanza, l’aiuto, la misericordia, perché una decisione abortiva è sempre un dramma. E – ripeto – si condanna il peccato, non il peccatore. Dobbiamo comunque accompagnare coloro che vivono situazioni drammatiche perché sperimentino una prossimità calda e fattiva. 

Colpisce del dibattito di questi giorni il tono liquidatorio e non di rado sprezzante col quale sono state trattate le documentate critiche alla logica e alla prassi delle linee guida. Come si possono recuperare parole comuni e idee condivise perché l’impegno a favore delle donne e della vita non diventi sempre oggetto di immancabili contrapposizioni?
Dobbiamo lavorare tutti per un’idea di civiltà condivisa. Parliamo dell’impegno perché alla donna (e alla coppia) sia dato tutto il sostegno possibile per prevenire l’aborto, superando quelle condizioni di disagio, anche economico, che portano all’interruzione della gravidanza. La vita è un bene prezioso: non va eliminata se davvero vogliamo rendere "civili" le nostre società.

Qual è la parola che la Chiesa rivolge alle donne e alla società oggi sull’aborto alla luce degli argomenti emersi una volta ancora nel confronto sull’aborto chimico?
La Chiesa condanna l’aborto, non la donna che ricorre a questa pratica. È misericordiosa, è presente, aiuta e accoglie tutte le sue figlie e i suoi figli, anche quelli che soffrono e che sbagliano. Invito i politici, gli amministratori, i miei confratelli vescovi, i sacerdoti, a unirci per una grande battaglia di civiltà: creare le condizioni affinché scompaia presto questa piaga e ci sia una società capace di accogliere e far crescere tutti, dai bambini agli anziani. Dirò di più: il "dopo" Covid 19 – se possiamo parlare di "dopo – ce lo impone. Oggi è l’Assunta: Maria viene assunta in cielo. Perché non contempliamo, in questo giorno, il Signore che "assume con sé" tutte le donne, soprattutto quelle che sono sole, lasciate con il loro dramma? Gli uomini le abbandonano a loro stesse. Dio le prende tra le braccia perché conoscano il suo amore.

venerdì 7 agosto 2020

Il Boville, l'approdo in serie D e le punizioni di Sandro Di Duca : Gianni Milani si racconta

Tornerò. Come il conte di Montecristo. Qualche anno lontano dal prato verde e poi il ritorno tanto atteso, come nel celebre romanzo di Alexandre Dumas. Gianni Milani, per tanti versi, è stato l’uomo dei sogni. Ed è tornato ; il blu granata è quasi una seconda pelle per lui, una passione che ha avuto il suo apice nella conquista dello storico traguardo della Serie D al termine di una cavalcata sconsigliata ai deboli di cuore.

Era la stagione 2007/2008 ed il Boville partiva con i favori del pronostico in un campionato, l’Eccellenza di allora, che vedeva ai nastri di partenza corazzate come il Gaeta, il Formia ed il Latina. Milani era da poco tornato al timone di quel Boville che aveva lasciato cinque anni prima, dopo il triplice fischio della finalissima di Coppa Italia che garantiva agli ernici il salto in Promozione.

“Vinceremo, vinceremo” ripeteva Gianni Milani ai dirigenti ed agli amici che guardavano sconsolati la classifica prima della sosta natalizia : meno nove punti dalla prima. E fu lì, in quelle settimane, che la squadra prese forma. Giusto il tempo di presentarsi sul mercato alla sua maniera, il tempo di aggiungere altre perle ad una collana ricca di zaffiri. Giacco, Gatti e Mancone acquistati in un solo giorno, il sorpasso al Gaeta, l’assalto all’autobus dei ciociari in quel di Latina. E poi lo spareggio con il Formia e la doppia sfida con il Cittá di Castello con Giacco che regalava al Boville il pass per la finalissima a tempo ormai scaduto. E fu sempre il bomber di Mola di Bari a graffiare e griffare quella domenica pomeriggio al Matusa, avversario l’Aprila, in una gara spettacolare conclusa in otto dai ragazzi di Gianni. Che qualche anno ha scelto un profilo più basso, quasi un understatement in salsa britannica .

Radio Boville è andata a trovarlo come si va trovare un vecchio compagno di banco negli anni del liceo : la cordialità è sempre la stessa, l’album dei ricordi pieno di fotografie, l’emotività e l’emozione, come nei romanzi di Dumas, sono un prologo che è sempre sinonimo di futuro.

Dodici anni lontano da una delle tue grandi passioni, il calcio.
“Devo dire che un pochino sento la mancanza. Mi piaceva l’idea di di una comunità in festa o meglio, all’epoca era un popolo in festa, potremmo quasi definirlo uno show. Si, mi manca, non posso dire il contrario”.

La società del Boville per anni è stata un modello in tutto il centro Italia arrivando a disputare un campionato nazionale. Dopo questo periodo d’oro, la società è sparita e la città è tornata a vivere una dimensione più “provinciale”. Sensazioni a riguardo ??
“In quegli anni a Boville abbiamo toccato il calcio che conta. E probabilmente il paese non era pronto per quel palcoscenico ; se ora siamo tornati in una dimensione provinciale è perché la comunità di Boville Ernica non ha capito che occorreva comunque proteggere quel grande patrimonio sportivo. E con questo, non voglio sminuire il lavoro che è stato fatto negli ultimi anni ma, semplicemente, è andata così”.

Marco Pasquini, Sandro Di Duca, Manolo Ripa ed Enzo Giacco fino all’ex stella del Bari Hugo Ennynaya. Gianni Milani, nel mondo del calcio, è sempre stato sinonimo di grandi colpi. Quella è stata la trattativa più difficile e quale l’acquisto più azzeccato ??
“Pasquini, Di Duca, Manolo Ripa e Giacco erano certamente tra i migliori nel periodo in cui hanno vestito la maglia del Boville. Parlare dei singoli è sempre un po’ riduttivo per uno sport di squadra ma tutti sanno che ho sempre avuto un affetto particolare per Sandro Di Duca. Un talento straordinario, in lui ho visto il gioco del calcio”.

Nell’anno della conquista della serie D il Boville fece parlare di se non solo per i risultati sportivi ma anche per la presenza di Giovanni Conversano che partecipava ad una trasmissione di Maria De Filippi. Come nacque l’idea di portarlo a Boville?
“L’ingaggio di Conversano è stata una mia idea. Sapevo in anticipo che sarebbe andato a finire nelle trasmissioni di Canale 5 è quella fu una vetrina importante non sono per il Boville calcio ma per tutto il paese. Per tanti aspetti fu un operazione un pochino complessa ma in un arco di tempo più lungo ha dato buoni risultati”.

Gianni Milani era conosciuto da tutti come un presidente vulcanico e con tante idee, croce e delizia degli allenatori. A quale di loro sei rimasto più legato?
“Bruno Mizzoni per la parte tecnica, per il modo in cui preparava anche a livello tattico le partite. Poi Francesco Fratarcangeli per la passione ed il coraggio, qualità che emergevano anche durante la settimana. Poi c’è stato Barbabella, l’allenatore della promozione in D, una scommessa vinta”.

Gioe e delusioni. Sfogliando l’album dei ricordi .. cosa troviamo ?
“In realtà, la gioia per la promozione in D fu accompagnata anche dalla delusione di ritrovarmi tanti amici contro dopo aver ottenuto questo risultato. Ad un certo punto, si aveva l’impressione che fossero tutti contro di me e quello fu uno dei motivi che mi spinse a lasciare”.

Fino a qualche anno fa il Montorli era un fiore all’occhiello per l’intera Ciociaria, oggi non è più così. Sulla scorta della tua esperienza .. qualche consiglio o suggerimento all’amministrazione comunale ?
“Montorli è ancora un fiore all occhiello per la nostra provincia. È un momento in cui mancano i capitani coraggiosi, quelli come me insomma”


Qualche anno fa, in tandem con Vincenzo Morabito, sei stato vicino al grande rientro in una grande piazza come Lecce. Per quali ragioni, poi, quella trattativa è saltata ?
“All‘epoca il presidente del Lecce era Tesoro. Mi fu prospettata questa opportunitá ma nel corso della trattativa ci accorgemmo che era difficile trattare con un uomo come lui ma semplicemente perché era troppo tifoso e ci teneva ta
ntissimo. E poi, è giusto anche che una squadra con la loro tradizione abbia alla guida uomini di quella terra”.


Negli ultimi anni, complice anche una situazione economica difficile, l’intero movimento del calcio in Ciociaria ha subito un brusco ridimensionamento. In compenso, il Frosinone si sta consolidando come una delle nuove realtà del calcio italiano.
“Il Frosinone ha al suo timone un uomo serio e competente come Stirpe. E poi c’è un popolo che ha entusiasmo, voglia di respirare grande calcio, passione. Mi piacerebbe vedere un pizzico di attenzione in più verso i giovani ma i dirigenti sono tutti dei professionisti capaci e sono convinto che valorizzare i nostri ragazzi sará un ulteriore passo in avanti per questa realtà”

C’è un momento in particolare, un
istantanea che fotografa gli anni in cui sei stato alla guida del Boville?

“Forse il viaggio di ritorno da Cittá di Castello. Era un paese, un popolo in festa. Bellissimo anche considerando la quantità di tifosi che ci seguiva”.

Restando sempre nell’ambito calcistico .. c’è un sogno del cassetto ?
“Si dice che i sogni aiutino a vivere meglio. Ed io ho giá sognato ad occhi aperti”.