lunedì 17 agosto 2020

“Le nuove linee guida della Ru486 gettano tutto il peso sulle spalle della donna”. Monsignor Vincenzo Paglia fa il punto sulle nuove direttive riguardo l’aborto

Ha seguito il dibattito sulle nuove linee guida per la somministrazione della pillola abortiva, letto gli interventi di fautori e critici, ha riflettuto e si è confrontato. E infine ha messo mano, ieri, a una nota come presidente della Pontificia Accademia per la Vita nella quale denuncia il «più forte confinamento nella sfera privata di un gesto di grande rilevanza emotiva, sociale e morale» come l’interruzione di gravidanza e chiede di «non rinunciare alla ricerca di modalità e strumenti più adeguati per un progetto condiviso» sulla donna e la vita. Anche monsignor Vincenzo Paglia scende in campo su un nodo delicato quanto cruciale come le modalità con cui si abortisce – oggi, e ancor più domani – nel nostro Paese.

Cos’ha pensato dell’annuncio di nuove linee guida sulla Ru486 e del dibattito di questi giorni?
Mi sono detto che una volta ancora tutto il peso di una decisone comunque difficile e fisicamente dolorosa viene gettato sulle spalle delle donne, meglio, di quella singola donna. Viene lasciata sola da una procedura "farmacologica" che incide fortemente nel suo corpo e nel suo animo. Sappiamo che si tratta di un dramma terribile per le donne, per un evento spesso più subìto che scelto. La misericordia evangelica ci dice che la prossimità alle donne non può essere allentata.

Ma i fautori delle nuove regole sostengono che è proprio alla loro salute che si è pensato introducendole...
Mi sembra che con queste linee guida si renda ancora più "privata" e "solitaria" la scelta di abortire. Questo è il vero tema. Più volte ho parlato del dramma della nostra epoca come «il crollo del Noi». Qui il «Noi» continua a crollare. E la società che dovrebbe sostenere i suoi figli li lascia soli. Per questo si deve sottolineare che nelle linee guida si disattende la 194 proprio nella parte in cui valorizzava la prevenzione e il sostegno alle donne, per ridurre – e magari azzerare – il ricorso all’interruzione di gravidanza.

L’aborto con la procedura dei due farmaci – abortivo ed espulsivo – alla fine sortisce il medesimo effetto di quello chirurgico. Cosa differenzia allora il giudizio su questi due percorsi?
Gli strumenti farmacologici lo rendono un percorso "più pulito"? Non credo, al massimo lo sottraggono alle relazioni. Lo rendono privo di rischi? Mi sembra che spostare in avanti i termini, dalla settima alla nona settimana, possa comportare un aumento di rischi e di stress per la donna, come implicitamente si riconosce quando si suggerisce come criterio di esclusione ansia e bassa soglia del dolore. Il giudizio sull’aborto, come sia, è sempre negativo. E senza equivoci. 

Cosa segnala la scelta dello spostamento progressivo fuori dagli ospedali della pratica abortiva?
Consentire che l’aborto possa avvenire tra le mura domestiche significa allontanarlo ulteriormente – con tutti i problemi dei quali questa decisione si carica – dalla trama delle relazioni sociali e dalla sfera della responsabilità comune, che la legge 194 chiama invece direttamente in causa. Certo, gli ospedali non sono necessariamente il luogo migliore per perseguire l’obiettivo di accompagnamento e sostegno. Ma proprio per questo occorre non rinunciare alla ricerca di modalità e strumenti più adeguati per un progetto condiviso: accompagnamento e sostegno alla vita nascente e alle famiglie. 

È sempre più diffusa l’idea che l’aborto sia un "diritto", lo affermano con convinzione non pochi intellettuali e politici. Cosa ne pensa?
Chi ne fa un discutibile "diritto" vuole nascondere che l’aborto è sempre un dramma con quattro vittime: la donna, l’uomo che l’ha messa incinta, il figlio che non nasce, la società intera che si dimostra incapace di prevenire. Il declino di una efficace azione dei consultori familiari evidenzia questo disimpegno, che tende in realtà a far gravare in modo sempre più pesante sulle spalle della sola donna l’onere di un gesto che lascia un segno profondo nella sua biografia. 

La legge 194 è rimasta largamente inapplicata nella sua prima parte, quella della prevenzione. Cosa andrebbe fatto per ridurre il numero di aborti nel nostro Paese, in modo ancor più sensibile di quanto accade ora per via della diminuzione di donne in età fertile e dell’impressionante aumento dell’uso di pillole del giorno dopo e dei cinque giorni dopo?
Vedo che stiamo perdendo una consapevolezza: i figli sono il nostro futuro, come famiglie e come Paese. C’è un legame tra aborti (oltre 76mila nel 2018) e l’attuale inverno demografico? Sono convinto di sì. Serve – e con urgenza – uno scatto di consapevolezza sociale e culturale. La Chiesa sostiene e protegge la vita, sempre: non è una scelta ideologica, è una scelta a favore del futuro. Oggi più che mai, in particolare in Occidente, si pone la domanda su come favorire l’accoglienza e l’apertura alla vita e alla sua novità. Per questo occorre divenire più disponibili a lasciarsi sorprendere e scomodare rispetto alle nostre posizioni acquisite.

La 194 resta una legge alla quale si debbono oltre 6 milioni di aborti dal 1978 a oggi, ma è la realtà con cui dobbiamo tutti fare i conti. A quale impegno sono chiamati i cattolici oggi su questo fronte?
Compito della Chiesa è certo predicare la dottrina ma anche praticare l’amore, la vicinanza, l’aiuto, la misericordia, perché una decisione abortiva è sempre un dramma. E – ripeto – si condanna il peccato, non il peccatore. Dobbiamo comunque accompagnare coloro che vivono situazioni drammatiche perché sperimentino una prossimità calda e fattiva. 

Colpisce del dibattito di questi giorni il tono liquidatorio e non di rado sprezzante col quale sono state trattate le documentate critiche alla logica e alla prassi delle linee guida. Come si possono recuperare parole comuni e idee condivise perché l’impegno a favore delle donne e della vita non diventi sempre oggetto di immancabili contrapposizioni?
Dobbiamo lavorare tutti per un’idea di civiltà condivisa. Parliamo dell’impegno perché alla donna (e alla coppia) sia dato tutto il sostegno possibile per prevenire l’aborto, superando quelle condizioni di disagio, anche economico, che portano all’interruzione della gravidanza. La vita è un bene prezioso: non va eliminata se davvero vogliamo rendere "civili" le nostre società.

Qual è la parola che la Chiesa rivolge alle donne e alla società oggi sull’aborto alla luce degli argomenti emersi una volta ancora nel confronto sull’aborto chimico?
La Chiesa condanna l’aborto, non la donna che ricorre a questa pratica. È misericordiosa, è presente, aiuta e accoglie tutte le sue figlie e i suoi figli, anche quelli che soffrono e che sbagliano. Invito i politici, gli amministratori, i miei confratelli vescovi, i sacerdoti, a unirci per una grande battaglia di civiltà: creare le condizioni affinché scompaia presto questa piaga e ci sia una società capace di accogliere e far crescere tutti, dai bambini agli anziani. Dirò di più: il "dopo" Covid 19 – se possiamo parlare di "dopo – ce lo impone. Oggi è l’Assunta: Maria viene assunta in cielo. Perché non contempliamo, in questo giorno, il Signore che "assume con sé" tutte le donne, soprattutto quelle che sono sole, lasciate con il loro dramma? Gli uomini le abbandonano a loro stesse. Dio le prende tra le braccia perché conoscano il suo amore.

venerdì 7 agosto 2020

Il Boville, l'approdo in serie D e le punizioni di Sandro Di Duca : Gianni Milani si racconta

Tornerò. Come il conte di Montecristo. Qualche anno lontano dal prato verde e poi il ritorno tanto atteso, come nel celebre romanzo di Alexandre Dumas. Gianni Milani, per tanti versi, è stato l’uomo dei sogni. Ed è tornato ; il blu granata è quasi una seconda pelle per lui, una passione che ha avuto il suo apice nella conquista dello storico traguardo della Serie D al termine di una cavalcata sconsigliata ai deboli di cuore.

Era la stagione 2007/2008 ed il Boville partiva con i favori del pronostico in un campionato, l’Eccellenza di allora, che vedeva ai nastri di partenza corazzate come il Gaeta, il Formia ed il Latina. Milani era da poco tornato al timone di quel Boville che aveva lasciato cinque anni prima, dopo il triplice fischio della finalissima di Coppa Italia che garantiva agli ernici il salto in Promozione.

“Vinceremo, vinceremo” ripeteva Gianni Milani ai dirigenti ed agli amici che guardavano sconsolati la classifica prima della sosta natalizia : meno nove punti dalla prima. E fu lì, in quelle settimane, che la squadra prese forma. Giusto il tempo di presentarsi sul mercato alla sua maniera, il tempo di aggiungere altre perle ad una collana ricca di zaffiri. Giacco, Gatti e Mancone acquistati in un solo giorno, il sorpasso al Gaeta, l’assalto all’autobus dei ciociari in quel di Latina. E poi lo spareggio con il Formia e la doppia sfida con il Cittá di Castello con Giacco che regalava al Boville il pass per la finalissima a tempo ormai scaduto. E fu sempre il bomber di Mola di Bari a graffiare e griffare quella domenica pomeriggio al Matusa, avversario l’Aprila, in una gara spettacolare conclusa in otto dai ragazzi di Gianni. Che qualche anno ha scelto un profilo più basso, quasi un understatement in salsa britannica .

Radio Boville è andata a trovarlo come si va trovare un vecchio compagno di banco negli anni del liceo : la cordialità è sempre la stessa, l’album dei ricordi pieno di fotografie, l’emotività e l’emozione, come nei romanzi di Dumas, sono un prologo che è sempre sinonimo di futuro.

Dodici anni lontano da una delle tue grandi passioni, il calcio.
“Devo dire che un pochino sento la mancanza. Mi piaceva l’idea di di una comunità in festa o meglio, all’epoca era un popolo in festa, potremmo quasi definirlo uno show. Si, mi manca, non posso dire il contrario”.

La società del Boville per anni è stata un modello in tutto il centro Italia arrivando a disputare un campionato nazionale. Dopo questo periodo d’oro, la società è sparita e la città è tornata a vivere una dimensione più “provinciale”. Sensazioni a riguardo ??
“In quegli anni a Boville abbiamo toccato il calcio che conta. E probabilmente il paese non era pronto per quel palcoscenico ; se ora siamo tornati in una dimensione provinciale è perché la comunità di Boville Ernica non ha capito che occorreva comunque proteggere quel grande patrimonio sportivo. E con questo, non voglio sminuire il lavoro che è stato fatto negli ultimi anni ma, semplicemente, è andata così”.

Marco Pasquini, Sandro Di Duca, Manolo Ripa ed Enzo Giacco fino all’ex stella del Bari Hugo Ennynaya. Gianni Milani, nel mondo del calcio, è sempre stato sinonimo di grandi colpi. Quella è stata la trattativa più difficile e quale l’acquisto più azzeccato ??
“Pasquini, Di Duca, Manolo Ripa e Giacco erano certamente tra i migliori nel periodo in cui hanno vestito la maglia del Boville. Parlare dei singoli è sempre un po’ riduttivo per uno sport di squadra ma tutti sanno che ho sempre avuto un affetto particolare per Sandro Di Duca. Un talento straordinario, in lui ho visto il gioco del calcio”.

Nell’anno della conquista della serie D il Boville fece parlare di se non solo per i risultati sportivi ma anche per la presenza di Giovanni Conversano che partecipava ad una trasmissione di Maria De Filippi. Come nacque l’idea di portarlo a Boville?
“L’ingaggio di Conversano è stata una mia idea. Sapevo in anticipo che sarebbe andato a finire nelle trasmissioni di Canale 5 è quella fu una vetrina importante non sono per il Boville calcio ma per tutto il paese. Per tanti aspetti fu un operazione un pochino complessa ma in un arco di tempo più lungo ha dato buoni risultati”.

Gianni Milani era conosciuto da tutti come un presidente vulcanico e con tante idee, croce e delizia degli allenatori. A quale di loro sei rimasto più legato?
“Bruno Mizzoni per la parte tecnica, per il modo in cui preparava anche a livello tattico le partite. Poi Francesco Fratarcangeli per la passione ed il coraggio, qualità che emergevano anche durante la settimana. Poi c’è stato Barbabella, l’allenatore della promozione in D, una scommessa vinta”.

Gioe e delusioni. Sfogliando l’album dei ricordi .. cosa troviamo ?
“In realtà, la gioia per la promozione in D fu accompagnata anche dalla delusione di ritrovarmi tanti amici contro dopo aver ottenuto questo risultato. Ad un certo punto, si aveva l’impressione che fossero tutti contro di me e quello fu uno dei motivi che mi spinse a lasciare”.

Fino a qualche anno fa il Montorli era un fiore all’occhiello per l’intera Ciociaria, oggi non è più così. Sulla scorta della tua esperienza .. qualche consiglio o suggerimento all’amministrazione comunale ?
“Montorli è ancora un fiore all occhiello per la nostra provincia. È un momento in cui mancano i capitani coraggiosi, quelli come me insomma”


Qualche anno fa, in tandem con Vincenzo Morabito, sei stato vicino al grande rientro in una grande piazza come Lecce. Per quali ragioni, poi, quella trattativa è saltata ?
“All‘epoca il presidente del Lecce era Tesoro. Mi fu prospettata questa opportunitá ma nel corso della trattativa ci accorgemmo che era difficile trattare con un uomo come lui ma semplicemente perché era troppo tifoso e ci teneva ta
ntissimo. E poi, è giusto anche che una squadra con la loro tradizione abbia alla guida uomini di quella terra”.


Negli ultimi anni, complice anche una situazione economica difficile, l’intero movimento del calcio in Ciociaria ha subito un brusco ridimensionamento. In compenso, il Frosinone si sta consolidando come una delle nuove realtà del calcio italiano.
“Il Frosinone ha al suo timone un uomo serio e competente come Stirpe. E poi c’è un popolo che ha entusiasmo, voglia di respirare grande calcio, passione. Mi piacerebbe vedere un pizzico di attenzione in più verso i giovani ma i dirigenti sono tutti dei professionisti capaci e sono convinto che valorizzare i nostri ragazzi sará un ulteriore passo in avanti per questa realtà”

C’è un momento in particolare, un
istantanea che fotografa gli anni in cui sei stato alla guida del Boville?

“Forse il viaggio di ritorno da Cittá di Castello. Era un paese, un popolo in festa. Bellissimo anche considerando la quantità di tifosi che ci seguiva”.

Restando sempre nell’ambito calcistico .. c’è un sogno del cassetto ?
“Si dice che i sogni aiutino a vivere meglio. Ed io ho giá sognato ad occhi aperti”.



martedì 14 luglio 2020

PANTA REI : FONTANE E FONTANILI DI BAUCO

di Paola D'Arpino










                                                                                                                                                                       Parte della storia di una città, sembrerà strano,  la si può "leggere" non dai libri, ma dalla città stessa, guardandosi intorno, guardando gli edifici, le piazze ...e le fontane pubbliche, ovvero i luoghi e le costruzioni con i quali  si intrecciano i fatti e gli eventi dei secoli passati.

martedì 26 maggio 2020

Il TAR da ragione a DHI, l’associazione di Harnwell rimane a Trisulti


Collepardo, Certosa Trisulti: la Dhi può restare c'è la sospensiva

La Dignitatis Humanae Institute rimane alla Certosa di Trisulti.
È questo quanto stabilito dalla sentenza emessa stamane, 26 maggio 2020,  dal TAR di Latina. L’associazione cattolica, guidata da Benjamin Harnwell e sostenuta da gli altri da Steve Bannon, rimane a pieno titolo il custode della Certosa di Trisulti. Nella stessa  sentenza inoltre il TAR ha condannato il Mibact al pagamento delle spese e competenze per un totale di sei mila euro ; ritenuti inammissibili gli interventi oppositivi, vale a dire delle associazioni locali che hanno tentato di intervenire ad opponendum nel procedimento a sostegno del Mibact.

domenica 3 maggio 2020

ACQUA E TERRA BENI DI TUTTI




- Il 22 marzo c’è stata la Giornata mondiale dell’acqua. Mi ero ripromessa di scriverne. Avevo chiesto all’amico Emilio Molinari che dell’acqua si è sempre occupato e ha contribuito fattivamente alla riuscita del referendum del 2011, di mandarmi delle notizie e lui l’aveva fatto. Ma poi è sopravvenuta la valanga del coronavirus e il problema dell’acqua è passato in secondo piano. Anche se in realtà l’accesso all’acqua, in tempi di pandemia, è importantissimo, basta pensare che la prima raccomandazione, cioè quella di lavarsi le mani, è resa nulla in tanti Paesi dove l’acqua corrente non esiste. In troppi paesi africani ancora oggi le donne si fanno anche dieci chilometri a piedi per andare a riempire un orcio al «marécage» che deve servire sia per cucinare che per bere. Chiaro che non ce n’è per lavarsi le mani. Ora che il virus sembra essersi un poco quietato, torno a parlarne perché penso che sia uno dei più importanti temi del futuro. L’uso dissennato che abbiamo fatto del territorio, le foreste mandate a fuoco, l’avvelenamento dei fiumi, il riscaldamento del clima stanno rendendo sempre più rara e difficile la disponibilità dell’acqua per tutti. Eppure è un diritto sancito dalla Dichiarazione universale dei Diritti umani. Perfino il Papa ha affermato pubblicamente che «dall’acqua dipende il futuro dell’umanità». E che «l’accesso all’acqua è un problema di giustizia». Per questo ha chiesto che le risorse idriche del pianeta siano protette e rese accessibili a tutti. Alla fine, con voce commossa ha citato le dolci parole di san Francesco: «Che tu sia lodato, mio Signore per sorella acqua la quale è tanto utile e umile, preziosa e pura...». «Una persona su tre nel mondo non ha accesso ad ac- qua sicura», scrive Molinari e «una su nove è priva di servizi igienici». Per questo in molti Paesi la mortalità dei bambini è tanto alta. Ricordo che nei miei viaggi all’interno dell’Africa nera mi stupivo che le madri allattassero i figli fino a due, anche tre anni. Vedevo quei poveri seni piagati a cui attingevano bambini già formati che da noi si nutrirebbero già di pappine e carne tritata. Poi, interrogando queste donne, ho capito il segreto di quegli allattamenti prolungati. Le madri cercavano di tenere al petto i propri figli perché nel momento che dal latte materno passava all’acqua, un bambino su tre moriva per infezioni sensibili agli antibiotici di cui però non disponevano. «L’acqua — scrive Molinari — è, nell’indifferenza globale, in testa alla macabra graduatoria dei decessi». E poi ci ricorda che lui e la sua associazione hanno denunciato la «criminale selezione che avrebbe comportato la privatizzazione dell’acqua. La gente lo capì e votò per la nazionalizzazione delle utenze idriche». Ma purtroppo, nonostante il voto favorevole, come spesso succede in Italia, si è lasciato la gestione di una buona porzione delle riserve idriche ai privati, i quali non hanno affatto rimediato alla perdita del 60 per cento del liquido prezioso che passa in tubi fatiscenti mai sostituiti. «La cultura della privatizzazione ha devastato la democrazia e tutto ciò che è pubblico, creando quello che De Rita (Censis) ha definito: la dittatura dell’io». La forza delle multinazionale nali ha vinto ancora una volta? In teoria ha vinto l’opinione pubblica, ma subito dopo si è fatto un decreto, la legge 112 del 2008 che ammetteva la possibilità di lasciare in alcuni casi la gestione ai privati. «Così, fatta la legge, si è trovato l’inganno per aggirarla». Oggi in Italia ci sono tre tipi di servizi idrici: quelli pubblici , quelli misti e quelli privati. Una grande confusione che non permette un intervento comune sulla gestione delle acque nazionali. «Il cementato cresce al ritmo del 15% all’anno e i rifiuti tossici vengono bruciati ancora in molte parti del Paese con conseguenze sulla salute dei cittadini. Siamo in braghe di tela per i tagli alla spesa pubblica, per le privatizzazioni sanitarie, per i brevetti sui farmaci e i costi imposti dalle multinazionali: né più né meno come per l’acqua potabile, per la siccità, il clima e il dissesto ambientale. Siamo tutti interconnessi e l’idea che chiudendo i rubinetti ci teniamo l’acqua per noi, è una utopia oltre che una forma di stupido egoismo». A questo punto, vista la pessima situazione, la domanda è: ma allora, come possiamo rimediare? La risposta: «Bisogna trovare un accordo fra associazioni, sindacati, movimenti culturali e sociali di uomini donne, come in un nuovo Forum Mondiale, non per fare la sommatoria dei contenuti congeniali a ciascuno, ma per decidere pochi obiettivi fondamentali: il diritto alla vita di tutti gli esseri viventi, una distribuzione più giusta dei beni essenziali, fra cui prima di tutto l’acqua, rispetto e cura dell’ambiente la cui salute ci riguarda tutti, come questo virus che non conosce frontiere né classi ha dimostrato».

Dacia Maraini

dal Corriere della Sera






mercoledì 29 aprile 2020

Civiltà ...Dove sei ?

Queste le foto che ci sono state inviate, questa mattina in redazione, da un cittadino di Boville Ernica.
Le foto purtroppo parlano chiaro sul grado di inciviltà di colui che ha pensato di fare "arredo urbano" con calcinacci, cocci, pezzi di tubi,.... tipici resti di lavori di ristrutturazione e già che c'era ha completato il tutto con una vecchia tv.  
A noi non resta che indicarvi la zona del "capolavoro" ovvero  la strada bianca tra San Lucio e Santa Maria ( vicino l 'Hot Ice )














La zona dello scempio


martedì 28 aprile 2020

CORONAVIRUS, VINCENZO PAGLIA: «CI SALVEREMO CON LA SOLIDARIETA'»




È appena uscito il saggio dell’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita, Pandemia e Fraternità. La forza dei legami umani riapre il futuro, (Piemme-Molecole). Intende aprire una discussione etica e culturale sulle prospettive della «ripartenza»: come perno, una recente Nota-documento della stessa Accademia. Lei scrive: «L’emergenza suscitata dal Covid-19 si sconfigge anzitutto con gli anticorpi della solidarietà. Viviamo in tempi in cui nessun governo, nessuna società, nessun tipo di comunità scientifica deve considerarsi autoreferenziale». Non è una visione troppo ottimistica? Non pensa che, finita l’emergenza, si tornerà al «mondo di prima»? «Non lo penso. La tentazione di esorcizzare la paura ritornando semplicemente ai riti della spensieratezza precedente, buttandoci tutto dietro le spalle, ci sarà, è comprensibile. Ma anche la spensieratezza sarà diversa: è inevitabile. Lo shock è stato forte. Pensavamo, tutti, di essere sempre più sani e più belli, sempre più invulnerabili e tonici, padroni del mondo grazie alla scienza e alla tecnologia. Solo perché mettevamo i malati e i morti, i deboli e i vulnerabili, in una quarantena invisibile, tenendoli fuori dalla rappresentazione della vita che gode semplicemente sé stessa. Ora tutti sono costretti a tenere fuori tutti: e ci ricordiamo improvvisamente di essere mortali, solo perché respiriamo. Non ci siamo presi cura della nostra tenera vulnerabilità condivisa, e ora ci viene imposto di viverla nell’abbandono: per aiutarci, siamo costretti a separarci. L’individualismo che abbiamo coltivato, ritorna come punizione: stai da solo se vuoi vivere. Ma da soli si muore. E male anche. Dopo l’emergenza non potremo evitare di affezionarci a una convivenza umana che apprezza di nuovo la bellezza della cura per la comunità, ad ogni costo». Lei annuncia un «congedo da uno stile individualistico, inospitale e anaffettivo, dei nostri stessi legami economici, politici ed istituzionali». Ma come si può coniugare con le leggi del mercato, dove i sentimenti spesso non sono contemplati? «Il nostro problema non sono le leggi del mercato ma il mercato delle leggi. Le famose regole della convivenza che una società si dà da sé sono sempre più merci, che si adattano ai soggetti economicamente più forti ed escludono quelli economicamente più deboli. Questa pressione invade ormai largamente anche le sfere vitali più sensibili al valore e alla ricchezza delle qualità propriamente umane: la famiglia, l’educazione, la scuola, la cultura, l’arte. E aggiungo un paradosso: l’indicatore più sensibile per la misura delle qualità spirituali di una civiltà è proprio la sanità, il luogo in cui la qualità spirituale della cura reciproca, di cui una comunità vive, è alla prova della sua verità. Lo stiamo vedendo a occhio nudo, in modo commovente e al tempo stesso drammatico, in questa tragica emergenza». La malattia, lei scrive, è una delle dimensioni che ci accomuna tutti. Le cronache delle morti da Covid-19 lo dimostrano. La malattia è diventata più di prima un elemento della nostra vita quotidiana? «La malattia e la vulnerabilità fanno parte della vita, della nostra esistenza, della condizione di essere “mortali”. Dobbiamo invece mettere in campo risorse per assicurare modelli di assistenza “umani”, che sostengano la dignità delle persone. Abbiamo messo ai margini anziani e poveri. Ci sentiamo meglio per questo? Abbiamo risparmiato denaro e risorse? Non credo, anzi sono sicuro di no. Noi siamo la società dello “spreco” che si comporta con gli “scarti” come con gli imballaggi di plastica: li gettiamo in mare. La mia domanda è: per uscire dalla malinconia strisciante del nostro delirio di onnipotenza frustrato, che ora diventa angoscia collettiva, esiste un modo più emozionante di uno stile sociale che punta tutte le risorse della comunità sulla scuola condivisa, sul lavoro condiviso, sulla cura condivisa a chilometro zero? La potenza economica globale non dovrebbe dare proprio lì e non in Borsa la prova più credibile delle sue promesse (che noi finanziamo)?». Lei parla di un «mutamento dell’interconnessione in solidarietà». Pensa che resisterà alla progressiva fine dell’emergenza? «Alla fine resterà in piedi un solo grande tema: la fraternità universale. Siamo interconnessi. Siamo fratelli e sorelle. Non è solo biologia: la razza umana. È la sostanza della biologia. Da me dipendono gli altri e viceversa. È la lezione di questi giorni. Come cittadini facciamo la nostra parte e la stiamo facendo. Poi i politici facciano la loro per disegnare società veramente solidali e perché ci siano opportunità di sviluppo economico, sociale, culturale per tutti. E gli scienziati non cedano al sovranismo, alla pressione della politica o del mercato, mettendosi loro stessi sul piedistallo dell’unica verità per questo tempo. Bruciare incenso e adorazione alla statua dell’imperatore, chiunque sia, non è mai una buona pratica». Anche nella Nota della Pontificia Accademia torna spesso il concetto di «ecologia integrale» caro a Papa Francesco. Quindi non solo la salvaguardia dell’ecosistema… «Prendersi cura è la “nuova frontiera” della Chiesa di domani. E nel “prendersi cura” non ci sono solo gli altri ma c’è anche l’ambiente e l’habitat. La natura, la città, la società umana devono convivere più felicemente, all’altezza delle odierne trasformazioni. Non ha ancora incominciato seriamente ad accadere. Il mondo non va abitato invano, consumandolo spensieratamente. E va consegnato migliore alle generazioni che vengono: l’indifferenza etica per la trasmissione della vita, in cui si sta insediando la nostra cultura secolare, è la nostra vergogna epocale. La testimonianza della fede non è guidata dall’interesse a compiacere una ideologia ecologistica o un comunitarismo di maniera. La voce del Papa non deve essere equivocata, su questo punto. La fede cristiana è chiamata in modo speciale a sostenere la bellezza del legame fra le generazioni, presidio affettivo di amicizia sociale e di fraternità civile. La trasmissione della vita dello spirito e l’iniziazione alla sua misteriosa promessa è il comandamento “Zero” della creazione, che precede ogni altro». Il libro, la collana e l’autore Il saggio di monsignor Vincenzo Paglia, Pandemia e fraternità. La foza dei legami umani riapre il futuro, è pubblicato da Piemme (pp. 68, euro 2,99). Il testo fa parte della serie di instant book Molecole, realizzata da Piemme, una collana di ebook di autori diversi che da vari punti di vista riflettono su temi legati all’emergenza Covid-19, in vendita a 2,99 euro. Vincenzo Paglia (1945), arcivescovo, già vescovo di Terni, è presidente della Pontificia Accademia per la vita e consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio, nell’ambito della quale è impegnato nell’associazione «Uomini e religioni» che organizza incontri ecumenici e interreligiosi. È autore di saggi di carattere religioso e sociale. 

Articolo del Corriere della Sera

mercoledì 22 aprile 2020

Giornata della Terra. Gli elaborati dell'Istituto Comprensivo Statale di Boville Ernica



La Giornata della Terra 2020 (Earth Day 2020), é una  celebrazione ambientale  a livello mondiale. La manifestazione  quest’anno è alla 50esima edizione La Giornata della Terra 2020, anche  con le eccezionali misure del  lockdown non si è fatta certo ostacolare dal coronavirus, e quello che fino al 2019 era stata una mobilitazione fisica di milioni di individui, oggi si trasforma in un evento digitale, una gigantesca maratona virtuale che  raccoglie azioni grandi e piccole, testimonianze e impegni a favore del Pianeta.
“Il coronavirus può costringerci a mantenere le distanze, non ci costringerà a mantenere bassa la voce”, spiegano gli organizzatori dell’Earth Day 2020. “L’unica cosa che cambierà il mondo è chiedere tutti assieme un nuovo modo di procedere. Potremmo essere separati, ma grazie al potere dei media digitali, siamo anche più connessi di prima.
Anche l'Istituto comprensivo di Boville Ernica ha aderito alla giornata e tutti gli studenti di tutte le classi hanno prodotto elaborati con il loro sogno di un pianeta Terra migliore, più pulito, più verde e più sano. 
Presto saranno pubblicati sul sito della scuola tutti gli elaborati  Al link https://www.bovillescuola.edu.it/

venerdì 20 marzo 2020

Coronavirus, è scontro tra parroco e sindaco

di Pierfederico Pernarella
Il Messaggero

Il dolore, indicibile, di non poter celebrare i funerali dei propri cari dovrebbe essere consegnato solo ad una silenziosa e composta pietà. Ed è invece anche le sole benedizioni delle salme consentite alla presenza dei più stretti parenti possono diventare oggetto di polemica e un caso istituzionale. 

Succede, nei giorni del l'epidemia del coronavirus, a Boville Ernica, in provincia di Frosinone, dove, per la seconda volta nel giro di pochi giorni, sta facendo discutere quanto accaduto al cimitero comunale San Marco. L'episodio è all'attenzione dei carabinieri che presenteranno una relazione al prefetto, ma intanto ci sono le testimonianze dei protagonisti, il parroco don Giovanni Ferrarelli e il sindaco Enzo Perciballi.

I fatti sono avvenuti lunedì poco prima della sepoltura di un 34enne. Le disposizioni anti-coronavirus consentono solo una benedizione prima della tumulazione alla presenza dei parenti più stretti, quelli di primo grado. Durante la breve cerimonia il sindaco è stato redarguito dal sacerdote, come conferma lo stesso don Giovanni Ferrarelli: «Entrando nel cimitero, oltre ai più stretti famigliari, avevo notato alcuni ragazzi, ai quali ho detto che alla breve cerimonia potevano partecipare solo i parenti più stretti. Loro mi hanno detto che non si sarebbero avvicinati. Ad un certo punto ho visto arrivare il sindaco e poco dopo lo stesso ha fatto segno ai ragazzi di farsi avanti. A quel punto ho ritenuto doveroso dire al primo cittadino che il suo comportamento non era opportuno. Pensiero che ribadisco: così si lancia un messaggio sbagliato, in un momento delicatissimo. Un sindaco non deve farlo».
Ma perché il primo cittadino si trovava lì? «Sono andato per verificare che venissero rispettate le regole», spiega Perciballi, il quale conferma di essere stato ripreso dal parroco, ma aggiunge pure di essere stato frainteso: «Quando sono arrivato i ragazzi si trovavano già all'interno del cimitero. Gli ho fatto segno di avvicinarsi, ma invitandoli a restare a distanza tra loro. E poi se io, come sostiene il parroco, ho sbagliato, anche lui ha tenuto un comportamento non rispettoso delle regole anti-contagio perché ha abbracciato alcuni famigliari. Cosa che gli ho fatto notare alla fine della cerimonia. Allora che devo fare, devo vietare le benedizioni?»
Il parroco non smentisce la circostanza e spiega: «I genitori del defunto sono due strettissimi collaboratori della parrocchia. Il padre era trasparente per il dolore, pietrificato, non riusciva a piangere. L'ho abbracciato e solo a quel punto si è abbandonato in un pianto liberatorio. L'ho fatto pensando alle parole di Papa Francesco che ha invitato noi parroci a non essere don Abbondio. Un gesto umano di cui mi assumo tutta la responsabilità».
Il caso, come detto, è sotto la lente dei carabinieri e sarà sottoposto all'attenzione del prefetto Ignazio Portelli, il quale sulla condotta del sindaco per ora commenta: «Comportamento irresponsabile»

martedì 17 marzo 2020

In tanti al cimitero, ma la benedizione è "scortata" dai carabinieri. Il sindaco: «Li ho chiamati io»

di Pierfederico Pernarella
Il Messaggero

Benedizione di un defunto scortata dai carabinieri per garantire, a detta del sindaco, il rispetto dei divieti contro gli assembramenti. Succede anche questo nei giorni dell'epidemia del coronavirus. Succede che al dolore per la dipartita di una persona cara, si aggiunge anche lo strazio di non poterla onorare con una cerimonia. Ma si tratta di regole necessarie per fermare il diffondersi dell'epidemia. Regole sul cui rispetto vigilano le autorità competenti.

Ecco che allora un caso avvenuto sabato pomeriggio al cimitero comunale San Marco di Boville Ernica è finito all'attenzione della Prefettura che sta verificando se siano state rispettate le prescrizioni imposte dal Governo. Con il decreto dello scorso 9 marzo, che ha trasformato tutta l'Italia in zona rossa, sono stati vietati anche i funerali. Nessuna cerimonia in chiesa o all'aperto, è consentita soltanto una veloce benedizione prima della tumulazione alla presenza dei più stretti famigliari. A Boville, sabato pomeriggio, per salutare il feretro di un 83enne, pare si siano radunate più persone del consentito.

«NESSUN ASSEMBRAMENTO»
Tra i presenti anche il sindaco Enzo Perciballi, il quale però assicura: «Sinceramente non ho contato le persone, ma sapendo che si sarebbero potuti creare dei problemi, in quanto il defunto era il padre di un imprenditore molto conosciuto in paese, io stesso ho preavvertito i carabinieri chiedendo se potessero presenziare e verificare il rispetto delle regole. E in effetti è stato così. Tutti si sono attenuti alle regole».
Il sindaco spiega che non c'è stato alcun corteo, ma alcune persone hanno comunque voluto salutare il defunto: «La maggior parte delle persone, non so se fossero una ventina o una trentina, si è fermata all'esterno del cimitero spiega ancora il sindaco Perciballi -. Tutti hanno indossato le mascherine e mantenuto la distanza prevista. All'interno del cimitero sono entrato anche io e c'erano non più di quindici persone, compresi il prete e gli addetti delle onoranze funebri. Anche in questo caso tutti hanno indossato le mascherine e si sono tenuti a distanza l'uno dall'altro. Davanti al feretro solo i famigliari più stretti. La cerimonia non è durata più di una decina di minuti. Non si sono formati assembramenti, come verificato, ripeto, dai carabinieri presenti al cimitero».

I bambini di Boville Ernica !

I bambini ? Loro sanno come sentirsi sempre uniti anche se divisi...
Loro stanno impiegando il tempo in modo costruttivo e dovremmo imparare da loro...
Questi sono i disegni fatti ieri, ognuno a casa propria e poi condivisi.... Sono i bambini di Boville Ernica !



sabato 15 febbraio 2020

Le tre sinistre

Tre. Il numero perfetto. Come i Magi, come le Marie dei famosi panettoni meneghini, tre come quel terzo incomodo che caratterizza certe relazioni ormai al crepuscolo.

Tre, come i gruppi che fanno riferimento al Pd o comunque alla sinistra all'interno del consiglio comunale di Boville. Certo, la sinistra nostrana è ormai al crepuscolo, stabilmente minoranza politica ad ogni tornata elettorale eppure continua a farla da padrone sui banchi del consiglio comunale. 
Il sindaco Enzo Perciballi, il vice sindaco Benvenuto Fabrizi, il capogruppo di Boville Bene Comune Memmo Di Cosimo e quello di Insieme per Crescere, Renato Genovesi : tutti con il cuore a sinistra, con la matita pronta a barrare il simbolo di un Pd ormai prossimo alla liquefazione. 

Dicevamo, il crepuscolo. Il tramonto di quelle stagioni della politica che hanno in un primo momento le sembianze di un tramonto, in questo caso di un tramonto dove il rosso spento si perde in note ambrate, poi nell'arancio e nel giallo tipico dei girasoli della Provenza. 

Ed è esattamente questo quello che è successo a Boville in questi anni. Frantumata in tanti pezzi come succede con quei cristalli di buona fattura, la sinistra baucana ha continuato ad esprimere la classe dirigente seppur sotto le mentite spoglie di liste civiche ora consolidate ed ora improvvisate. 

L'esperimento è iniziato con Piero Fabrizi, una dozzina di anni or sono. Tutti insieme appassionatamente con l'obiettivo dichiarato, allora, di mandare a casa Michele Rotondi. Due anni di tempo e quella squadra messa insieme con lo scotch ha iniziato a mostrare i primi segni di cedimento, figli delle tante, troppe anime che ne facevano parte. Un canovaccio, questo, che puntualmente si è ripetuto nei lustri a seguire.

Non frequentano più la sezione, spesso non hanno nemmeno la tessera di partito in tasca. Eppure sono tutti lì, hanno legittimato l'uno le candidature dell'altro, sempre pronti ad obbedire agli ordini di scuderia ogni volta che vengono chiamati in causa. E pazienza se quasi sempre si tratta di dover correre per gli altri, spesso accontentandosi di portare a casa quasi sempre le briciole, qualche volta destinate ad opere pubbliche completamente inutili come la passerella del Renarone oppure il bocciodromo, diventato ormai una cattedrale nel deserto di Montorli, con l'acqua che ormai allaga la pista e senza più nessuno che ci vada a giocare. Tutte cose che dovrebbero interessare l'opposizione, forse.

Un anno e mezzo fa, in occasione della campagna elettorale per le politiche, erano tutti sotto le stesso tendone di un bar lungo la Rotabile ad ascoltare il comizio del satrapo del Pd, il ripano Francesco De Angelis. Tutti insieme appassionatamente, evitando di farsi immortalare dallo stesso obiettivo nonostante continuassero a cercarsi con gli occhi, una marcatura ad uomo che avrebbe fatto rabbrividire perfino il buon Claudio Gentile.

Spesso il crepuscolo è una di quelle cose a cui non fai neppure troppo caso, poi un giorno ti accorgi di quella terra di nessuno dove qualcosa sta finendo e qualcos’altro che non è ancora incominciato assomiglia un po’ troppo al futuro. È una promessa di metamorfosi, di cui non sai la fine. 

Boville, da quindici anni ormai, non è più un paese di sinistra. L'unica ad averlo capito sembra essere Marta Diana.

mercoledì 19 giugno 2019

"Vogliamo fare un grande campionato". Presentato Alessandro Nesta, nuovo allenatore del Frosinone

Il campione del mondo Alessandro Nesta, per anni colonna difensiva di Lazio e Milan oltre che della Nazionale è il nuovo tecnico del Frosinone Calcio. I canarini, dopo la cocente retrocessione nel campionato cadetto hanno voluto affidare proprio a Nesta le "chiavi" di casa per il prossimo futuro. 

"Fai solo quello che sai fare e non ti preoccupare. Sono state le prime parole che mi ha detto il presidente Stirpe quando l'ho incontrato due giorni fa. Mi hanno colpito e dato al tempo stesso una grande fiducia". Alessandro Nesta, neo allenatore del Frosinone, è stato presentato nella sala stampa del Benito Stirpe, dal responsabile dell'area tecnica Ernesto Salvini, che aveva al suo fianco Alessandro Frara, l'ex capitano gialloazzurro ma da quest'anno collaboratore con delega alla prima squadra. Un Nesta gasato al punto giusto e voglioso di "fare bene in una piazza molto importante e in una società solida. Ringrazio il Frosinone per avermi dato questa opportunità. Farò di tutto per non deluderlo".