mercoledì 19 aprile 2023

Il sistema bancario a riserva frazionaria dai Medici ad oggi

 Di Gianpiero Fabrizi





Nel caos bancario dei giorni nostri sono in tanti a guardare indietro nel tempo, a più di 600 anni fa, alla storia della Banca Medici, una delle banche più potenti del suo tempo, che, con i suoi quattrocento anni di attività, diventó una delle banche più rispettate in Europa.

Tra i primi ad adottare il sistema bancario a riserva frazionaria, una pratica di cui i clienti della Banca Medici non erano a conoscenza e che alla fine portò al sostanziale fallimento dell'istituzione finanziaria stessa. I Medici modernizzarono più di ogni altra famiglia il concetto di banca commerciale, tratteggiando le caratteristiche che gli istituti di credito assumono ai giorni nostri. 

mercoledì 8 marzo 2023

Boville Ernica : IL MISTERO delle SCULTURE di ARNOLFO DI CAMBIO SCOMPARSE all'inizio del XX secolo

di Paola D'Arpino

Che fine hanno fatto le  sculture del più grande  architetto e scultore del 1300, Arnolfo di Cambio, che si trovavano a Boville Ernica ?


Il giallo delle  statuette scomparse da Boville Ernica è una delle vicende meno discusse e più fumose della nostra storia relativamente recente.


La loro presenza a Boville Ernica fu rilevata e documentata dal noto e scrupoloso storico di Veroli, Camillo Scaccia Scarafoni, e trascritta tra il 1921 ed il 1922 nel vol. 15 dei Bollettini d'Arte. Scaccia Scarafoni rinvenne a Boville Ernica  nella cappellina del palazzo Simoncelli,  tre statuine che in origine dovevano essere sette e facenti parte del famoso monumento funebre di papa Bonifacio VIII che fino al 1605 era collocato nella controfacciata della antica basilica di S. Pietro di Roma.


   Fig. 1 -  Immagine tratta da "Reliquie Artistiche del Mausoleo di Bonifacio VIII rinvenute a Boville Ernica, ora nel Museo di palazzo Venezia" Scaccia Scarafoni Camillo"  - In:  "Bollettino d'arte" vol. 15 (1921/22) p 567-573  

martedì 5 gennaio 2021

LA NATIVITA' e L'EPIFANIA del sarcofago di BOVILLE ERNICA

Sempre più spesso citati su Tv, libri e giornali.



 
Quando negli anni quaranta del secolo scorso, a Boville Ernica in zona Sasso,  degli agricoltori trovarono nel terreno in cui stavano arando quella grande pietra lavorata, certo non immaginavano neanche lontanamente che, quello che poi si sarebbe rivelato essere un sarcofago, da li a pochi decenni, sarebbe stato studiato anche all'estero  e posto a confronto con pochissimi e rarissimi altri reperti archeologici analoghi, che avrebbe praticamente modificato alcuni postulati della storia dell'arte e dell'arte paleocristiana, e che sarebbe stato citato anche da eminenti accademici su giornali vaticani. Nel 2003 fu pubblicato il primo vero studio dettagliato frutto di una tesi di Laurea(1). Otto anni fa un ricercatore(2)  esperto di simbologia sacra ed archeoastronomia ha pubblicato due libri che parlano soprattutto del sarcofago di Boville Ernica. Perfino la Rai ed altre Tv si sono scomodate negli ultimi anni per venire a fare servizi e riprese sul nostro sarcofago, nel 2016 il programma di Rai2 Voyager, ed anche il Tg3 Lazio pochi giorni fa (in basso, al termine della pagina i due video). Neanche ci si sarebbe aspettati che il sarcofago di Boville presentasse delle caratteristiche uniche rispetto ai pochi frammenti simili oltre al fatto straordinario che, mentre gli analoghi reperti sono tutti frammentari, solo coperchi, solo fronti, o assemblaggi di pezzi di diversa origine, il nostro sarcofago è intatto, completo, con tutta la decorazione dei bassorilievi integri cosi come sono stati concepiti e realizzati nel IV secolo, per la precisione a Roma tra il 330 ed il 350. 


Cosa incuriosisce cosi tanto ?
Forse l'apparente contraddizione : una scena di nascita su un sarcofago che è il contenitore di un defunto, ben più legato alla morte che alla vita. Ma è proprio in questo contrasto che sta probabilmente il più grande messaggio che gli scultori hanno voluto lasciare ai posteri : evidenziare la nascita di Colui che ha vinto anche la morte e che la morte per un cristiano non è altro che la nascita a nuova ed eterna vita.
Ma oltre i significati religiosi vi è la colossale importanza del soggetto stesso della natività che in Storia dell'Arte si era sempre fatto iniziare intorno al 1290/91 definendo come primo scultore di presepe Arnolfo di Cambio. Ma evidentemente gli storici non avevano ancora avuto modo di vedere la Natività di Boville Ernica. (Su Arnolfo di Cambio, tornerò a breve con altro articolo poichè anche lui, o meglio alcune sue opere, hanno avuto attinenza con la nostra cittadina). 
Arnolfo, su richiesta del Papa Niccolò V, ispirati da S. Francesco che nel 1223 , nel borgo di Greccio in provincia di Rieti, diede vita ad una sorta di primo presepe vivente, realizzò le sculture che sono ora in parte conservate nella chiesa di S. Maria Maggiore di Roma. Per secoli e fino alla scoperta del sarcofago di Boville Ernica, si è creduto erroneamente che il primo presepe della storia in scultura fosse quello di Arnolfo quando invece, il presepe del sarcofago di Boville Ernica è stato realizzato quasi mille anni prima di quello di Arnolfo.

presepe di Arnolfo di Cambio, 1290 circa
(ormai incompleto)


Ma c'è un ulteriore importantissimo aspetto che ha fatto e fa ancora discutere molto, un aspetto che coinvolge molte tematiche.
Nel 2012 venne pubblicato un libro, "L'infanzia di Gesù"(3, in cui veniva negata l'effettiva presenza del bue e dell'asinello nel presepe poichè nessuno dei 4 vangeli canonici li nomina. Nel libro del 2012 veniva affermato che i due quadrupedi sarebbero stati aggiunti per errore nel vangelo apocrifo, quindi non riconosciuto, dello pseudo Matteo che però sarebbe vissuto nell VIII o IX secolo, ben lontano dall evento della nascita di Cristo e quindi dagli avvenimenti del Natale.
Ma a "difesa" della presenza del bue e l'asinello nella Natività, il 23 dicembre dello stesso 2012 un illustre docente di Archeologia dell'Università di Roma III, scrisse un articolo pubblicato su "L'OSSERVATORE ROMANO" in cui, a dimostrazione che il bue e l'asinello erano presenti accanto a Gesù Bambino già nelle rappresentazioni di epoca paleocristiana, portò ad esempio tra vari reperti archeologici, anche e soprattutto la natività del sarcofago di Boville Ernica : "...nella foto qui sopra c'è la più antica raffigurazione che si abbia dei due animali accanto al bambino Gesù nella mangiatoia. Con dietro di essi un pastore, più a sinistra i magi e a destra, sotto la stella, Maria e la levatrice. La raffigurazione è in un bassorilievo di un sarcofago del IV secolo, conservato nella chiesa del monastero delle benedettine di Boville Ernica, nella diocesi di Frosinone". (L'OSSERVATORE ROMANO, 23 dicembre 2012).

Spero davvero che tutti si rendano conto, anche a Boville Ernica, dell'enorme importanza del sarcofago e che non appena possibile tutti vadano a vederlo da vicino, per osservarne anche i dettagli, per conoscere ma anche per poter prendere consapevolezza di quanti importanti capolavori la storia della nostra città conserva e poterne così essere orgogliosi conoscitori, divulgatori e difensori.

05.01.2021
Paola D'Arpino

- Si ringrazia per la collaborazione ed il reperimento dei documenti Alvaro Giuseppe Piacentini, ex presidente della Pro Loco di Boville Ernica



Note :

(1) Elisa Canetri, "Il sarcofago paleocristiano di Boville Ernica"

(2) Teodoro Brescia, "Il segno del messia", Nexus Edizioni, 2012 
      Teodoro Brescia  "La stella dei Magi ed il sarcofago decifrato", Nexus Edizioni, 2014

(3Joseph Ratzingher, "L'infanzia di Gesù", Rizzoli 2012






lunedì 17 agosto 2020

“Le nuove linee guida della Ru486 gettano tutto il peso sulle spalle della donna”. Monsignor Vincenzo Paglia fa il punto sulle nuove direttive riguardo l’aborto

Ha seguito il dibattito sulle nuove linee guida per la somministrazione della pillola abortiva, letto gli interventi di fautori e critici, ha riflettuto e si è confrontato. E infine ha messo mano, ieri, a una nota come presidente della Pontificia Accademia per la Vita nella quale denuncia il «più forte confinamento nella sfera privata di un gesto di grande rilevanza emotiva, sociale e morale» come l’interruzione di gravidanza e chiede di «non rinunciare alla ricerca di modalità e strumenti più adeguati per un progetto condiviso» sulla donna e la vita. Anche monsignor Vincenzo Paglia scende in campo su un nodo delicato quanto cruciale come le modalità con cui si abortisce – oggi, e ancor più domani – nel nostro Paese.

Cos’ha pensato dell’annuncio di nuove linee guida sulla Ru486 e del dibattito di questi giorni?
Mi sono detto che una volta ancora tutto il peso di una decisone comunque difficile e fisicamente dolorosa viene gettato sulle spalle delle donne, meglio, di quella singola donna. Viene lasciata sola da una procedura "farmacologica" che incide fortemente nel suo corpo e nel suo animo. Sappiamo che si tratta di un dramma terribile per le donne, per un evento spesso più subìto che scelto. La misericordia evangelica ci dice che la prossimità alle donne non può essere allentata.

Ma i fautori delle nuove regole sostengono che è proprio alla loro salute che si è pensato introducendole...
Mi sembra che con queste linee guida si renda ancora più "privata" e "solitaria" la scelta di abortire. Questo è il vero tema. Più volte ho parlato del dramma della nostra epoca come «il crollo del Noi». Qui il «Noi» continua a crollare. E la società che dovrebbe sostenere i suoi figli li lascia soli. Per questo si deve sottolineare che nelle linee guida si disattende la 194 proprio nella parte in cui valorizzava la prevenzione e il sostegno alle donne, per ridurre – e magari azzerare – il ricorso all’interruzione di gravidanza.

L’aborto con la procedura dei due farmaci – abortivo ed espulsivo – alla fine sortisce il medesimo effetto di quello chirurgico. Cosa differenzia allora il giudizio su questi due percorsi?
Gli strumenti farmacologici lo rendono un percorso "più pulito"? Non credo, al massimo lo sottraggono alle relazioni. Lo rendono privo di rischi? Mi sembra che spostare in avanti i termini, dalla settima alla nona settimana, possa comportare un aumento di rischi e di stress per la donna, come implicitamente si riconosce quando si suggerisce come criterio di esclusione ansia e bassa soglia del dolore. Il giudizio sull’aborto, come sia, è sempre negativo. E senza equivoci. 

Cosa segnala la scelta dello spostamento progressivo fuori dagli ospedali della pratica abortiva?
Consentire che l’aborto possa avvenire tra le mura domestiche significa allontanarlo ulteriormente – con tutti i problemi dei quali questa decisione si carica – dalla trama delle relazioni sociali e dalla sfera della responsabilità comune, che la legge 194 chiama invece direttamente in causa. Certo, gli ospedali non sono necessariamente il luogo migliore per perseguire l’obiettivo di accompagnamento e sostegno. Ma proprio per questo occorre non rinunciare alla ricerca di modalità e strumenti più adeguati per un progetto condiviso: accompagnamento e sostegno alla vita nascente e alle famiglie. 

È sempre più diffusa l’idea che l’aborto sia un "diritto", lo affermano con convinzione non pochi intellettuali e politici. Cosa ne pensa?
Chi ne fa un discutibile "diritto" vuole nascondere che l’aborto è sempre un dramma con quattro vittime: la donna, l’uomo che l’ha messa incinta, il figlio che non nasce, la società intera che si dimostra incapace di prevenire. Il declino di una efficace azione dei consultori familiari evidenzia questo disimpegno, che tende in realtà a far gravare in modo sempre più pesante sulle spalle della sola donna l’onere di un gesto che lascia un segno profondo nella sua biografia. 

La legge 194 è rimasta largamente inapplicata nella sua prima parte, quella della prevenzione. Cosa andrebbe fatto per ridurre il numero di aborti nel nostro Paese, in modo ancor più sensibile di quanto accade ora per via della diminuzione di donne in età fertile e dell’impressionante aumento dell’uso di pillole del giorno dopo e dei cinque giorni dopo?
Vedo che stiamo perdendo una consapevolezza: i figli sono il nostro futuro, come famiglie e come Paese. C’è un legame tra aborti (oltre 76mila nel 2018) e l’attuale inverno demografico? Sono convinto di sì. Serve – e con urgenza – uno scatto di consapevolezza sociale e culturale. La Chiesa sostiene e protegge la vita, sempre: non è una scelta ideologica, è una scelta a favore del futuro. Oggi più che mai, in particolare in Occidente, si pone la domanda su come favorire l’accoglienza e l’apertura alla vita e alla sua novità. Per questo occorre divenire più disponibili a lasciarsi sorprendere e scomodare rispetto alle nostre posizioni acquisite.

La 194 resta una legge alla quale si debbono oltre 6 milioni di aborti dal 1978 a oggi, ma è la realtà con cui dobbiamo tutti fare i conti. A quale impegno sono chiamati i cattolici oggi su questo fronte?
Compito della Chiesa è certo predicare la dottrina ma anche praticare l’amore, la vicinanza, l’aiuto, la misericordia, perché una decisione abortiva è sempre un dramma. E – ripeto – si condanna il peccato, non il peccatore. Dobbiamo comunque accompagnare coloro che vivono situazioni drammatiche perché sperimentino una prossimità calda e fattiva. 

Colpisce del dibattito di questi giorni il tono liquidatorio e non di rado sprezzante col quale sono state trattate le documentate critiche alla logica e alla prassi delle linee guida. Come si possono recuperare parole comuni e idee condivise perché l’impegno a favore delle donne e della vita non diventi sempre oggetto di immancabili contrapposizioni?
Dobbiamo lavorare tutti per un’idea di civiltà condivisa. Parliamo dell’impegno perché alla donna (e alla coppia) sia dato tutto il sostegno possibile per prevenire l’aborto, superando quelle condizioni di disagio, anche economico, che portano all’interruzione della gravidanza. La vita è un bene prezioso: non va eliminata se davvero vogliamo rendere "civili" le nostre società.

Qual è la parola che la Chiesa rivolge alle donne e alla società oggi sull’aborto alla luce degli argomenti emersi una volta ancora nel confronto sull’aborto chimico?
La Chiesa condanna l’aborto, non la donna che ricorre a questa pratica. È misericordiosa, è presente, aiuta e accoglie tutte le sue figlie e i suoi figli, anche quelli che soffrono e che sbagliano. Invito i politici, gli amministratori, i miei confratelli vescovi, i sacerdoti, a unirci per una grande battaglia di civiltà: creare le condizioni affinché scompaia presto questa piaga e ci sia una società capace di accogliere e far crescere tutti, dai bambini agli anziani. Dirò di più: il "dopo" Covid 19 – se possiamo parlare di "dopo – ce lo impone. Oggi è l’Assunta: Maria viene assunta in cielo. Perché non contempliamo, in questo giorno, il Signore che "assume con sé" tutte le donne, soprattutto quelle che sono sole, lasciate con il loro dramma? Gli uomini le abbandonano a loro stesse. Dio le prende tra le braccia perché conoscano il suo amore.

venerdì 7 agosto 2020

Il Boville, l'approdo in serie D e le punizioni di Sandro Di Duca : Gianni Milani si racconta

Tornerò. Come il conte di Montecristo. Qualche anno lontano dal prato verde e poi il ritorno tanto atteso, come nel celebre romanzo di Alexandre Dumas. Gianni Milani, per tanti versi, è stato l’uomo dei sogni. Ed è tornato ; il blu granata è quasi una seconda pelle per lui, una passione che ha avuto il suo apice nella conquista dello storico traguardo della Serie D al termine di una cavalcata sconsigliata ai deboli di cuore.

Era la stagione 2007/2008 ed il Boville partiva con i favori del pronostico in un campionato, l’Eccellenza di allora, che vedeva ai nastri di partenza corazzate come il Gaeta, il Formia ed il Latina. Milani era da poco tornato al timone di quel Boville che aveva lasciato cinque anni prima, dopo il triplice fischio della finalissima di Coppa Italia che garantiva agli ernici il salto in Promozione.

“Vinceremo, vinceremo” ripeteva Gianni Milani ai dirigenti ed agli amici che guardavano sconsolati la classifica prima della sosta natalizia : meno nove punti dalla prima. E fu lì, in quelle settimane, che la squadra prese forma. Giusto il tempo di presentarsi sul mercato alla sua maniera, il tempo di aggiungere altre perle ad una collana ricca di zaffiri. Giacco, Gatti e Mancone acquistati in un solo giorno, il sorpasso al Gaeta, l’assalto all’autobus dei ciociari in quel di Latina. E poi lo spareggio con il Formia e la doppia sfida con il Cittá di Castello con Giacco che regalava al Boville il pass per la finalissima a tempo ormai scaduto. E fu sempre il bomber di Mola di Bari a graffiare e griffare quella domenica pomeriggio al Matusa, avversario l’Aprila, in una gara spettacolare conclusa in otto dai ragazzi di Gianni. Che qualche anno ha scelto un profilo più basso, quasi un understatement in salsa britannica .

Radio Boville è andata a trovarlo come si va trovare un vecchio compagno di banco negli anni del liceo : la cordialità è sempre la stessa, l’album dei ricordi pieno di fotografie, l’emotività e l’emozione, come nei romanzi di Dumas, sono un prologo che è sempre sinonimo di futuro.

Dodici anni lontano da una delle tue grandi passioni, il calcio.
“Devo dire che un pochino sento la mancanza. Mi piaceva l’idea di di una comunità in festa o meglio, all’epoca era un popolo in festa, potremmo quasi definirlo uno show. Si, mi manca, non posso dire il contrario”.

La società del Boville per anni è stata un modello in tutto il centro Italia arrivando a disputare un campionato nazionale. Dopo questo periodo d’oro, la società è sparita e la città è tornata a vivere una dimensione più “provinciale”. Sensazioni a riguardo ??
“In quegli anni a Boville abbiamo toccato il calcio che conta. E probabilmente il paese non era pronto per quel palcoscenico ; se ora siamo tornati in una dimensione provinciale è perché la comunità di Boville Ernica non ha capito che occorreva comunque proteggere quel grande patrimonio sportivo. E con questo, non voglio sminuire il lavoro che è stato fatto negli ultimi anni ma, semplicemente, è andata così”.

Marco Pasquini, Sandro Di Duca, Manolo Ripa ed Enzo Giacco fino all’ex stella del Bari Hugo Ennynaya. Gianni Milani, nel mondo del calcio, è sempre stato sinonimo di grandi colpi. Quella è stata la trattativa più difficile e quale l’acquisto più azzeccato ??
“Pasquini, Di Duca, Manolo Ripa e Giacco erano certamente tra i migliori nel periodo in cui hanno vestito la maglia del Boville. Parlare dei singoli è sempre un po’ riduttivo per uno sport di squadra ma tutti sanno che ho sempre avuto un affetto particolare per Sandro Di Duca. Un talento straordinario, in lui ho visto il gioco del calcio”.

Nell’anno della conquista della serie D il Boville fece parlare di se non solo per i risultati sportivi ma anche per la presenza di Giovanni Conversano che partecipava ad una trasmissione di Maria De Filippi. Come nacque l’idea di portarlo a Boville?
“L’ingaggio di Conversano è stata una mia idea. Sapevo in anticipo che sarebbe andato a finire nelle trasmissioni di Canale 5 è quella fu una vetrina importante non sono per il Boville calcio ma per tutto il paese. Per tanti aspetti fu un operazione un pochino complessa ma in un arco di tempo più lungo ha dato buoni risultati”.

Gianni Milani era conosciuto da tutti come un presidente vulcanico e con tante idee, croce e delizia degli allenatori. A quale di loro sei rimasto più legato?
“Bruno Mizzoni per la parte tecnica, per il modo in cui preparava anche a livello tattico le partite. Poi Francesco Fratarcangeli per la passione ed il coraggio, qualità che emergevano anche durante la settimana. Poi c’è stato Barbabella, l’allenatore della promozione in D, una scommessa vinta”.

Gioe e delusioni. Sfogliando l’album dei ricordi .. cosa troviamo ?
“In realtà, la gioia per la promozione in D fu accompagnata anche dalla delusione di ritrovarmi tanti amici contro dopo aver ottenuto questo risultato. Ad un certo punto, si aveva l’impressione che fossero tutti contro di me e quello fu uno dei motivi che mi spinse a lasciare”.

Fino a qualche anno fa il Montorli era un fiore all’occhiello per l’intera Ciociaria, oggi non è più così. Sulla scorta della tua esperienza .. qualche consiglio o suggerimento all’amministrazione comunale ?
“Montorli è ancora un fiore all occhiello per la nostra provincia. È un momento in cui mancano i capitani coraggiosi, quelli come me insomma”


Qualche anno fa, in tandem con Vincenzo Morabito, sei stato vicino al grande rientro in una grande piazza come Lecce. Per quali ragioni, poi, quella trattativa è saltata ?
“All‘epoca il presidente del Lecce era Tesoro. Mi fu prospettata questa opportunitá ma nel corso della trattativa ci accorgemmo che era difficile trattare con un uomo come lui ma semplicemente perché era troppo tifoso e ci teneva ta
ntissimo. E poi, è giusto anche che una squadra con la loro tradizione abbia alla guida uomini di quella terra”.


Negli ultimi anni, complice anche una situazione economica difficile, l’intero movimento del calcio in Ciociaria ha subito un brusco ridimensionamento. In compenso, il Frosinone si sta consolidando come una delle nuove realtà del calcio italiano.
“Il Frosinone ha al suo timone un uomo serio e competente come Stirpe. E poi c’è un popolo che ha entusiasmo, voglia di respirare grande calcio, passione. Mi piacerebbe vedere un pizzico di attenzione in più verso i giovani ma i dirigenti sono tutti dei professionisti capaci e sono convinto che valorizzare i nostri ragazzi sará un ulteriore passo in avanti per questa realtà”

C’è un momento in particolare, un
istantanea che fotografa gli anni in cui sei stato alla guida del Boville?

“Forse il viaggio di ritorno da Cittá di Castello. Era un paese, un popolo in festa. Bellissimo anche considerando la quantità di tifosi che ci seguiva”.

Restando sempre nell’ambito calcistico .. c’è un sogno del cassetto ?
“Si dice che i sogni aiutino a vivere meglio. Ed io ho giá sognato ad occhi aperti”.



martedì 14 luglio 2020

PANTA REI : FONTANE E FONTANILI DI BAUCO

di Paola D'Arpino










                                                                                                                                                                       Parte della storia di una città, sembrerà strano,  la si può "leggere" non dai libri, ma dalla città stessa, guardandosi intorno, guardando gli edifici, le piazze ...e le fontane pubbliche, ovvero i luoghi e le costruzioni con i quali  si intrecciano i fatti e gli eventi dei secoli passati.

martedì 26 maggio 2020

Il TAR da ragione a DHI, l’associazione di Harnwell rimane a Trisulti


Collepardo, Certosa Trisulti: la Dhi può restare c'è la sospensiva

La Dignitatis Humanae Institute rimane alla Certosa di Trisulti.
È questo quanto stabilito dalla sentenza emessa stamane, 26 maggio 2020,  dal TAR di Latina. L’associazione cattolica, guidata da Benjamin Harnwell e sostenuta da gli altri da Steve Bannon, rimane a pieno titolo il custode della Certosa di Trisulti. Nella stessa  sentenza inoltre il TAR ha condannato il Mibact al pagamento delle spese e competenze per un totale di sei mila euro ; ritenuti inammissibili gli interventi oppositivi, vale a dire delle associazioni locali che hanno tentato di intervenire ad opponendum nel procedimento a sostegno del Mibact.

domenica 3 maggio 2020

ACQUA E TERRA BENI DI TUTTI




- Il 22 marzo c’è stata la Giornata mondiale dell’acqua. Mi ero ripromessa di scriverne. Avevo chiesto all’amico Emilio Molinari che dell’acqua si è sempre occupato e ha contribuito fattivamente alla riuscita del referendum del 2011, di mandarmi delle notizie e lui l’aveva fatto. Ma poi è sopravvenuta la valanga del coronavirus e il problema dell’acqua è passato in secondo piano. Anche se in realtà l’accesso all’acqua, in tempi di pandemia, è importantissimo, basta pensare che la prima raccomandazione, cioè quella di lavarsi le mani, è resa nulla in tanti Paesi dove l’acqua corrente non esiste. In troppi paesi africani ancora oggi le donne si fanno anche dieci chilometri a piedi per andare a riempire un orcio al «marécage» che deve servire sia per cucinare che per bere. Chiaro che non ce n’è per lavarsi le mani. Ora che il virus sembra essersi un poco quietato, torno a parlarne perché penso che sia uno dei più importanti temi del futuro. L’uso dissennato che abbiamo fatto del territorio, le foreste mandate a fuoco, l’avvelenamento dei fiumi, il riscaldamento del clima stanno rendendo sempre più rara e difficile la disponibilità dell’acqua per tutti. Eppure è un diritto sancito dalla Dichiarazione universale dei Diritti umani. Perfino il Papa ha affermato pubblicamente che «dall’acqua dipende il futuro dell’umanità». E che «l’accesso all’acqua è un problema di giustizia». Per questo ha chiesto che le risorse idriche del pianeta siano protette e rese accessibili a tutti. Alla fine, con voce commossa ha citato le dolci parole di san Francesco: «Che tu sia lodato, mio Signore per sorella acqua la quale è tanto utile e umile, preziosa e pura...». «Una persona su tre nel mondo non ha accesso ad ac- qua sicura», scrive Molinari e «una su nove è priva di servizi igienici». Per questo in molti Paesi la mortalità dei bambini è tanto alta. Ricordo che nei miei viaggi all’interno dell’Africa nera mi stupivo che le madri allattassero i figli fino a due, anche tre anni. Vedevo quei poveri seni piagati a cui attingevano bambini già formati che da noi si nutrirebbero già di pappine e carne tritata. Poi, interrogando queste donne, ho capito il segreto di quegli allattamenti prolungati. Le madri cercavano di tenere al petto i propri figli perché nel momento che dal latte materno passava all’acqua, un bambino su tre moriva per infezioni sensibili agli antibiotici di cui però non disponevano. «L’acqua — scrive Molinari — è, nell’indifferenza globale, in testa alla macabra graduatoria dei decessi». E poi ci ricorda che lui e la sua associazione hanno denunciato la «criminale selezione che avrebbe comportato la privatizzazione dell’acqua. La gente lo capì e votò per la nazionalizzazione delle utenze idriche». Ma purtroppo, nonostante il voto favorevole, come spesso succede in Italia, si è lasciato la gestione di una buona porzione delle riserve idriche ai privati, i quali non hanno affatto rimediato alla perdita del 60 per cento del liquido prezioso che passa in tubi fatiscenti mai sostituiti. «La cultura della privatizzazione ha devastato la democrazia e tutto ciò che è pubblico, creando quello che De Rita (Censis) ha definito: la dittatura dell’io». La forza delle multinazionale nali ha vinto ancora una volta? In teoria ha vinto l’opinione pubblica, ma subito dopo si è fatto un decreto, la legge 112 del 2008 che ammetteva la possibilità di lasciare in alcuni casi la gestione ai privati. «Così, fatta la legge, si è trovato l’inganno per aggirarla». Oggi in Italia ci sono tre tipi di servizi idrici: quelli pubblici , quelli misti e quelli privati. Una grande confusione che non permette un intervento comune sulla gestione delle acque nazionali. «Il cementato cresce al ritmo del 15% all’anno e i rifiuti tossici vengono bruciati ancora in molte parti del Paese con conseguenze sulla salute dei cittadini. Siamo in braghe di tela per i tagli alla spesa pubblica, per le privatizzazioni sanitarie, per i brevetti sui farmaci e i costi imposti dalle multinazionali: né più né meno come per l’acqua potabile, per la siccità, il clima e il dissesto ambientale. Siamo tutti interconnessi e l’idea che chiudendo i rubinetti ci teniamo l’acqua per noi, è una utopia oltre che una forma di stupido egoismo». A questo punto, vista la pessima situazione, la domanda è: ma allora, come possiamo rimediare? La risposta: «Bisogna trovare un accordo fra associazioni, sindacati, movimenti culturali e sociali di uomini donne, come in un nuovo Forum Mondiale, non per fare la sommatoria dei contenuti congeniali a ciascuno, ma per decidere pochi obiettivi fondamentali: il diritto alla vita di tutti gli esseri viventi, una distribuzione più giusta dei beni essenziali, fra cui prima di tutto l’acqua, rispetto e cura dell’ambiente la cui salute ci riguarda tutti, come questo virus che non conosce frontiere né classi ha dimostrato».

Dacia Maraini

dal Corriere della Sera