Un filo di inevitabile imbarazzo c’è, ci si sente un po’ Ronald Reagan quando ha maramaldeggiato su un esanime Walter Mondale, nel dover rendere il dovuto a Gigi Buffon e Piero Fabrizi.
Entrambi sono al finale di carriera. Entrambi concludono con un tuffo dentro a una piscina vuota. L’ultimo atto di un grande atleta e di un politico, una vita da campioni, le stimmate del talento che nessuno mai gli toglierà, ma anche di una vita da personaggio pubblico scalfita dal crepuscolo.
Il personaggio pubblico, sia chiaro perché l’uomo è una altra cosa. E nel caso di Piero è larger than life, come dicono gli americani. E poi, unica cosa intelligente detta da Papa Francesco in cinque anni, “chi siamo noi giudicare?”
Buffon ha sbroccato. E può capitare. Non dovrebbe capitare ad un veterano di quaranta anni, campione del mondo a ventotto, capitano della Nazionale italiana che oggi è fuori dai Mondiali eppure una delle più vincenti della storia della pedata.
Il rigore, c’era o non c’era? Il tifo fa bene al cuore e male alla coscienza.
Piero Fabrizi, con Gigi Buffon, condivide le stimmate del campione. Era l’anno di Italia 90, tanto per restare in tema football.
Lui, Piero, vice sindaco di Nicola Milani nell’anno della storica cacciata dei comunisti dal Palazzo d’Inverno. Astro nascente del Garofano, quello vero, quello di Craxi, non l’insipida emulazione odierna. I comunisti tornano a palazzo in breve tempo e lui, Piero, andò a sedersi sui banchi dell’opposizione.
Michele Rotondi, cacciato da Mastrantoni in malo modo, gli rubò la scena e lui decise di passare la mano alle comunali del 2003 e mettere tutte le sue fiches sulla tornata delle provinciali l’anno successivo. Mentre le nuvole coprivano la galassia dei berlusconiani, la stella di Piero tornò a brillare.
Più sperduto di Oliver Twist alla Whitechapel, un pezzo di centrodestra baucano brancolava nel buio; Piero ci fece l’accordo e completò il mosaico dell’ultima tessera, quella che mancava per vincere.
“Non puoi avere il cinismo di distruggere il sogno di una squadra” ripeteva Gigi Buffon al Bernabeu l’altra sera, riferendosi all’arbitro. E Piero, che pure arbitro è stato, ai baucani un sogno voleva regalarlo. Davvero. Il tempo però ha finito per renderlo più simile alla Fornero.
Giusto, sbagliato, umano. E anche quella cosa di vedere il suo volto scavato da qualche lacrima, del resto, ha reso il nostro sindaco più simile a noi. Lui. E Buffon con lui.
Lacrime da coccodrillo, forse. Si perché per entrambi, per Piero e per Buffon, valgono le regole e la forca ma solo finché sono per gli avversari. Piero Fabrizi finisce il mandato e passerà alla storia per quello che è stato: il Casaleggio della politica baucana.
Piero, perché vogliamo ancora chiamarlo così, ha avuto un amico che gli ha voluto bene : Radio Boville. Nonostante le critiche di questi dieci anni. Se non altro siamo stati sempre diretti, leali e sinceri. E scevri da interessi particolari, dal desiderio di cadreghe.
Se credi, ci stringeremo la mano.
Le standing ovation si meritano una sola volta, nella vita.
Solo che stavolta era rigore.
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